Che cosa ci insegnano i graffiti dell’Addaura?

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Queste figure sono incise nella roccia, sulla parete di una grotta di monte Pellegrino, che è una piccola montagna adiacente la città di Palermo. Dall’altra parte c’è Mondello.

 

Raffigurano dei danzatori del paleolitico.

 

L’incisione è fatta con maestria, ed evidenzia in particolare le masse muscolose dei glutei e delle cosce. Si trattava di gente ben più prestante di quella neolitica che venne dopo.

 

Al centro del cerchio dei danzatori ci sono due figure distese, col fallo eretto in evidenza. Ognuna di esse sembra avere una corda, che determina un tiraggio sulla gola, fissata alla radice del membro o forse alle caviglie. Queste due figure hanno le braccia libere, pertanto non sembrano due vittime sacrificali. Il loro viso ha un profilo analogo a quello dei danzatori, con una barba a pizzo o forse una maschera di uccello.

 

Intorno ai due con i danzatori intorno, ci sono altre figure. A destra una bella figura maschile in posa ieratica ed un’altra più piccola (forse perché un po’ discosta) che potrebbe anche essere una donna abbigliata con un peblo.

 

Più sotto, al centro, la figura somiglia ad una adolescente. In una posa, si suppone, danzante secondo movenze rintracciabili tuttora in alcune danzatrici tribali africane.

 

Poi due uomini portatori di lancia.

 

Infine, più sotto, un uomo e quella che sembra una donna incinta, che portano ognuno un tamburo o uno scudo o qualcos’altro di simile nel profilo.

 

La scena è stata incisa nel 11 o 12.000 avanti Cristo. Che rappresenti un rituale sembra abbastanza evidente. Testimonia una società organizzata, pertanto, e degli uomini di conoscenza che gestiscano il tutto.

 

In altre popolazioni tribali di cacciatori-raccoglitori vi sono analoghe testimonianze, sino in epoca attuale, di riti collettivi con danzatori al suono di tamburi che stanno intorno a performances iniziatiche.

 

Ovviamente, come in un test proiettivo di Rorsarch, chi osserva può vedervi soltanto quello che la sua mente gli permette di vedere. La mente, poi, fa le sue congetture interpretative.

Di che rito si tratta, non lo sapremo mai, ma una domanda emerge: che razza di iniziazione è mettere in tiraggio una corda dietro la gola e starsene col pene eretto?

Cioè, in altri termini, cosa determina soggettivamente una tale posizione forzata?

 

Determina ovviamente una stimolazione massiva delle energie del corpo che vengono forzate in alto verso la gola.

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Ci sono altri esempi di stimolazione artificiale forzata della regione della gola presso tribù africane. Ma, soprattutto, ci sono tecniche yoga che, anche tramite posture, forzano l’energia del corpo lungo un’orbita di circolazione interna del respiro che termina in questo centro. Si tratta di tecniche codificate per iscritto diversi millenni dopo che avvenne l’iniziazione che abbiamo di fronte, ma, come è noto, lo yoga storico deriva da conoscenze ed operatività sciamaniche trasmesse attraverso la pratica, che si perdono nella notte dei tempi.

 

Le codificazioni yogiche ci forniscono però, e col beneficio d’inventario, una spiegazione dell’effetto fisiologico del mantenimento di una tale postura forzata che, molto in breve, serve ad innescare un cambio nella circolazione energetica che favorisca –in terminologia tecnica- il controllo dell’energia del secondo chackra da parte del quinto. In linguaggio psicologico corrente, si tratta di “sublimare” l’energia sessuale in energia creativa ed espressiva. Insomma, qualcosa che ci potrebbe stare come prova iniziatica per giovani uomini nell’ambito di una società tribale evoluta.

 

L’incisione rupestre di un rito testimonia l’importanza di una tale pratica per la cultura che l’ha realizzata.

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